
Rifiuti: abbandono e responsabilità
Rifiuti: fatto e diritto
Il caso in questione ha ad oggetto la legittimità dell’ordinanza n. -OMISSIS-, con la quale si intima alla società di provvedere alla messa in sicurezza dell’area denominata -OMISSIS-, alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti abbandonati in loco, al ripristino dello stato dei luoghi, all’analisi e caratterizzazione ambientale, alla bonifica, nonché alla comunicazione dell’avvenuta esecuzione di quanto ordinato. L’area relativa ai fatti di causa, adibita a -OMISSIS- e individuata catastalmente al Foglio di mappa n° -OMISSIS- (in parte), 346 (in parte), 27 (in parte) per complessivi 30.000 metri quadrati circa, risulta essere stata in esercizio dalla data del 1° gennaio 1986 per poi cessare l’attività nell’anno 1988. L’area in questione fa parte di un’area di estensione maggiore pari a 293.088 metri quadrati.
Prima delle vicende strettamente riguardanti la società appellante, l’area dove è collocata la cava è stata già oggetto di sequestri penali. Il 17 ottobre 2006, la cava è stata oggetto di un sequestro per una sua porzione di 10.000 mq, in quanto occupata da rifiuti non pericolosi provenienti da attività di costruzione e demolizione. Il 12 maggio 2008, si è proceduto al sequestro di un’ulteriore area di cava sempre per la medesima ragione. Il 12 novembre 2008, l’intero fondo dove è collocata la cava è stato sottoposto a sequestro penale per un totale di 293.088 mq, per la medesima ragione. Il 7 febbraio 2011, -OMISSIS- (d’ora in avanti, per brevità, soltanto Arciconfraternita), proprietaria del fondo, ha stipulato con la società odierna appellante un contratto per l’esecuzione di un progetto di recupero ambientale finalizzato al ripristino morfologico. Tra il 5 dicembre 2011 e il 21 dicembre 2011, la ditta proprietaria dava esecuzione al piano di indagini preliminari precedentemente discusso e approvato dalle autorità competenti, seguendo quanto previsto nella “Relazione tecnica sulle attività eseguite e considerazioni” predisposta dal tecnico di fiducia della proprietà.
Con le comunicazioni del 17 maggio 2012 e del 28 giugno 2012, inviate rispettivamente alla Guardia di Finanza ed all’Arpac, la ditta proprietaria ha comunicato di aver smaltito i rifiuti presenti sulla superficie della cava. Con la nota prot. n. 31825 del 10 luglio 2012, l’Arpac ha attestato che: “i rifiuti rinvenuti sul suolo, presso -OMISSIS- ……, sono stati smaltiti e/o recuperati secondo la normativa vigente”. L’odierna appellante ha, dunque, intrapreso il procedimento di autorizzazione per l’effettuazione dei lavori di ricomposizione ambientale del sito. Con il decreto dirigenziale della regione Campania n. 444 dell’11 dicembre 2013, si sono autorizzati questi lavori di ricomposizione ambientale. In data 20 dicembre 2013, la -OMISSIS- ha comunicato l’avvio dell’attività di ricomposizione ambientale.
Tuttavia, l’area è stata nuovamente sottoposta a sequestro penale il 12 maggio 2015, parzialmente dissequestrata il 21 dicembre 2015, e nuovamente sequestrata il 12 marzo 2016, essendo state riscontrate alcune violazioni ambientali ai sensi del d.lgs. n. 152/2006. Con la nota prot. n. 467871 del 28 maggio 2019, il Comune di -OMISSIS- ha comunicato l’avvio del procedimento di cui all’art. 192, d.lgs. n. 152/2006. Con la nota acquisita al prot. generale al n. 567897 del 28 giugno 2019, la ditta -OMISSIS- ha formulato osservazioni procedimentali. L’8 agosto 2019, il Comune di -OMISSIS- ha emanato l’ordinanza sindacale n. 3, ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006. L’impresa ha proposto ricorso innanzi al T.a.r. per la Campania, domandando l’annullamento del provvedimento.
L’appellante censura la ricostruzione dei fatti svolta dal T.a.r. e, in particolare, il punto della motivazione laddove vengono respinte le difese in fatto dell’impresa. Tali contestazioni, nella loro diversità, mirano ad infirmare “in fatto” l’accertamento della responsabilità della società sostenendo, in buona sostanza, che l’area fosse già inquinata a causa di attività preesistenti alla presa in carico del sito da parte dell’-OMISSIS- dalla -OMISSIS- che ne è proprietaria, per lo svolgimento dell’attività di ricomposizione ambientale, che la prima si era obbligata contrattualmente a compiere a vantaggio della seconda.
In base al criterio di valutazione del compendio probatorio costituito dalla regola del “più probabile che non”, il Collegio ritiene altamente inverosimile che il responsabile della ditta, al momento della presa in carico del sito (avvenuta quantomeno nell’anno 2014, come questi dichiara nel ricorso di primo grado a pagina 20 la medesima ditta ricorrente) o anche in un momento immediatamente successivo a tale presa in carico, riscontrata la presenza dei numerosi e consistenti cumuli di rifiuti indicati nei verbali di sequestro, non abbia svolto alcuna rimostranza alla ditta proprietaria, non si sia adoperata affinché la loro presenza constasse in qualche modo o non ne abbia denunciato la presenza alle autorità, come si tenta di far credere nel motivo di appello declinando ogni responsabilità e “scaricandola”, in parte, sulle precedenti gestioni del sito e, in parte, sulle attività di indagine successivamente compiute.
Non risulta credibile il tentativo di dimostrare che i rifiuti trovati scaturirebbero dalla “…movimentazione dei materiali e gli scavi eseguiti anche in profondità compiuti in occasione degli accertamenti nonché, più in generale, nell’ambito dei terrazzamenti della ricomposizione ambientale ha comportato che le terre e rocce da scavo conferite dalla ditta si siano mischiate con i rifiuti derivanti dalla demolizione presenti in loco da decenni”.
Il rinvenimento dei diversi cumuli di rifiuti è stato compiuto nell’ambito dello svolgimento di operazioni delle “forze dell’ordine” in due anni distinti e parte di questi rifiuti sono stati individuati ictu oculi, senza alcuna attività di scavo o movimentazione di terra, a dimostrazione del livello di inquinamento presente in loco e della riconducibilità ad operazioni compiute dall’impresa.
L’essenza della sentenza
Il sub-sistema normativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 reca un preciso criterio di imputazione della responsabilità da inquinamento, la quale si innesta sulla sussistenza di un nesso eziologico, non ammettendo ulteriori, diversi e più sfavorevoli criteri di imputazione (i quali, pure, sono conosciuti da altri settori dell’ordinamento) e che, sia nelle ipotesi di danno ambientale disciplinate dalle previsioni della direttiva 2004/35/UE, sia in quelle che restano regolate dalle sole previsioni del Codice ambientale, non sono configurabili ipotesi di responsabilità svincolata da un contributo causale alla determinazione del danno. La norma richiede, inoltre, che la condotta di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti “sul” suolo e “nel” suolo risulti imputabile a titolo di dolo o colpa in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati.