
Cassazione e traffico illecito di rifiuti: la sentenza n. 24722/2025 conferma la linea dura
Con la sentenza n. 24722 del 7 luglio 2025 (udienza del 12 giugno 2025), la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da tre imputati condannati per attività organizzate di traffico illecito di rifiuti. La decisione conferma la condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Salerno nel giugno 2024, che aveva rideterminato le pene per Tommaso Palmieri, Alfonso Palmieri e Antonio Cancro, riconoscendone la responsabilità penale per gravi condotte illecite nella gestione dei rifiuti tra il 2009 e il 2013.
Traffico illecito di rifiuti: un reato “abituale” non “permanente”
Uno dei nodi centrali affrontati dalla Corte riguarda la qualificazione giuridica del reato. I ricorrenti avevano sostenuto che si trattasse di un reato permanente, con conseguenti riflessi sulla competenza territoriale. La Cassazione ha chiarito che l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti – oggi disciplinata dall’art. 452-quaterdecies c.p. – è un reato abituale, poiché caratterizzato da una pluralità di condotte illecite reiterate nel tempo. La competenza territoriale va dunque attribuita al tribunale dove si è concretizzato l’effetto finale della reiterazione, in questo caso il tribunale di Salerno, e non quello di Napoli come auspicato dalla difesa.
Illegittime le eccezioni procedurali
Altre doglianze difensive riguardavano presunte violazioni delle garanzie difensive durante le indagini preliminari, con particolare riferimento all’omessa comunicazione ex art. 369-bis c.p.p. La Corte ha respinto anche questo motivo, evidenziando come le attività contestate rientrassero tra quelle della polizia giudiziaria ex art. 352-354 c.p.p., per le quali non è necessaria l’informazione di garanzia. Inoltre, tutte le operazioni erano avvenute alla presenza degli indagati e correttamente verbalizzate.
Traffico illecito di rifiuti: attività autorizzata o traffico illecito?
Uno dei temi più tecnici e rilevanti della sentenza riguarda la distinzione tra operazioni di recupero autorizzate e condotte illecite. Secondo i ricorrenti, l’attività di selezione dei rifiuti era regolarmente autorizzata in procedura semplificata. Ma i giudici hanno ritenuto dimostrato che la SRA S.r.l. e la ditta Palmieri avevano operato ben oltre i limiti dell’autorizzazione, gestendo rifiuti multi-materiali misti – tra cui plastica, metalli, vetro – pur potendo trattare solo rifiuti cellulosici (CER 15.01.06). Anche l’utilizzo di codici CER differenti per giustificare l’ingresso di rifiuti non autorizzati è stato ritenuto strumentale a eludere i controlli e mascherare un’attività abusiva.
Flusso B: i rifiuti extra-regionali e l’emergenza Campania
La sentenza dedica ampio spazio anche al cosiddetto “flusso B”, relativo al trattamento di rifiuti provenienti da fuori regione. In particolare, la Campania era soggetta a norme straordinarie per lo stato d’emergenza rifiuti, che vietavano l’ingresso di rifiuti urbani anche se destinati al recupero. I giudici hanno rilevato che tra il 2009 e il 2010 i rifiuti urbani provenienti dalla Basilicata venivano trasferiti illegalmente negli impianti campani, in assenza dei protocolli d’intesa richiesti dalla delibera della Regione Campania n. 628/2005 e dall’ordinanza del Presidente del Consiglio n. 2948/1999. La giurisprudenza e la normativa richiamate nella sentenza confermano l’obbligo di rispettare il principio di prossimità e autosufficienza nella gestione dei rifiuti, soprattutto in contesti emergenziali.
Flusso C: ingombranti e frode autorizzativa
L’ultima parte della motivazione affronta il cosiddetto “flusso C”, relativo alla gestione dei rifiuti ingombranti. Secondo l’accusa, le società coinvolte non erano autorizzate al trattamento dei rifiuti CER 20.03.07 (materassi, mobili, ecc.), ma avevano fraudolentemente suddiviso questi rifiuti in altre tipologie (tessuti, ferro, legno) per aggirare l’obbligo di autorizzazione ordinaria e risparmiare sui costi di adeguamento degli impianti. La Cassazione ha confermato la ricostruzione della Corte d’Appello, anche sulla base di intercettazioni telefoniche esplicite tra i soggetti coinvolti.
I giudici di legittimità hanno inoltre ribadito che il requisito dell’ingente quantità non si misura solo in termini assoluti, ma tiene conto della pericolosità, dell’organizzazione dell’attività e della finalità lucrativa. In questo caso, la gestione di oltre 12.000 tonnellate di rifiuti in tre anni, per un profitto accertato superiore ai 2 milioni di euro, integrava pienamente la gravità richiesta dalla norma.
Nessun dubbio sul dolo e sulla responsabilità individuale
Un ulteriore motivo di ricorso ha riguardato l’elemento psicologico del reato, in particolare per Antonio Cancro, dipendente della SRA. La difesa sosteneva che egli si fosse limitato a eseguire ordini. La sentenza ha rigettato l’argomentazione, richiamando conversazioni intercettate in cui Cancro mostrava piena consapevolezza delle pratiche illecite, comprese le istruzioni su come “nascondere le bare” durante i controlli, e sull’uso di codici CER per mascherare i rifiuti trattati.
Anche per Alfonso Palmieri, che aveva assunto la carica di amministratore solo nel 2011, la Corte ha evidenziato la sua piena partecipazione consapevole alla gestione dell’attività, fin dagli anni precedenti, sulla base di testimonianze e attività d’indagine.
Trattamento sanzionatorio e sospensione della pena per il traffico illecito di rifiuti
Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibili anche le censure relative al trattamento sanzionatorio e alla mancata sospensione condizionale della pena per Cancro. Pur avendo ottenuto una riduzione della pena a 1 anno e 10 mesi, l’imputato aveva già beneficiato in passato di una sospensione condizionale, rendendo impossibile una nuova concessione ai sensi dell’art. 163 c.p. La Corte ha confermato che l’assenza di motivazione esplicita non incide sulla legittimità della decisione, essendo la richiesta giuridicamente infondata.
Considerazioni conclusive
La sentenza n. 24722/2025 rappresenta un importante pronunciamento in materia di gestione illecita dei rifiuti, poiché chiarisce i confini tra attività lecita autorizzata in procedura semplificata e organizzazione criminale finalizzata al profitto. I giudici di legittimità ribadiscono la necessità di valutazioni rigorose e integrate delle condotte, anche sotto il profilo territoriale, autorizzativo e psicologico. Inoltre, riaffermano che la Corte di Cassazione non è un giudice di terzo grado di merito, ma un presidio giuridico contro gli errori di diritto e i vizi manifesti di motivazione.
Il messaggio per gli operatori del settore ambientale è chiaro: ogni attività di gestione dei rifiuti deve svolgersi nel rispetto rigoroso della normativa, dei titoli autorizzativi e dei principi di trasparenza, tracciabilità e responsabilità.