
Attività di recupero rifiuti e aree urbanisticamente conformi: un’importante recente Sentenza del Consiglio di Stato
Premessa
Per la rubrica ” La Giurisprudenza ci dice che” prendiamo questa volta in esame la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2350 del 21 marzo 2025, che affronta un tema cruciale in materia ambientale: il rapporto tra l’attività di recupero dei rifiuti in procedura semplificata (ex art. 216 D.Lgs. 152/2006) e la disciplina urbanistica del territorio. In particolare, la decisione verte sulla necessità di conformità urbanistica degli impianti di recupero di rifiuti, anche quando l’attività è intrapresa con la procedura semplificata di mera comunicazione anziché con la tradizionale autorizzazione. La pronuncia offre l’occasione per esaminare i fatti di causa, i principi di diritto enunciati e operare una riflessione critica su punti di forza e criticità della soluzione adottata. Di seguito si inquadrerà dapprima il contesto fattuale e normativo della vicenda, quindi si analizzeranno i principi espressi dal Consiglio di Stato, per concludere con un commento critico dell’esito, alla luce dei riferimenti normativi (ad es. art. 216 D.Lgs. 152/2006, D.M. 5 febbraio 1998, art. 208 D.Lgs. 152/2006, L. 241/1990) e della giurisprudenza precedente in materia.
Contesto della controversia nel recupero dei rifiuti
La CR Metalli s.r.l. ha impugnato il provvedimento della Provincia di Salerno che vietava l’inizio dell’attività di messa in riserva (R13) e recupero (R14) di rifiuti metallici presso il suo insediamento a Sarno. Il divieto si basava su un parere sfavorevole del Comune di Sarno, che lo riteneva incompatibile con la destinazione urbanistica dell’area, classificata come “area satura” e vietata agli impianti di trattamento rifiuti da una delibera comunale.
Il TAR Salerno ha accolto il ricorso di CR Metalli, annullando il divieto provinciale. Il TAR ha motivato la sua decisione affermando che:
- la classificazione del territorio comunale come “area satura” non si applicava agli impianti come quello di CR Metalli, che trattano esclusivamente rifiuti non odorigeni (rottami ferrosi);
- la delibera comunale che esprimeva contrarietà all’insediamento di impianti di trattamento rifiuti era un mero atto di indirizzo, non vincolante per la Provincia;
- la destinazione produttiva per il trattamento rifiuti era già stata riconosciuta all’impianto di CR Metalli.
L’Appello al Consiglio di Stato: avverso la decisione del TAR ha proposto appello il Comune di Sarno (soccombente in primo grado), chiedendone la riforma. Due in particolare i motivi di gravame esaminati nella sentenza del Consiglio di Stato: (1) in via preliminare, il Comune eccepiva l’inammissibilità del ricorso originario nella parte in cui impugnava la delibera di Giunta 47/2019, in quanto atto meramente interno e non lesivo (non essendo neppure recepito nel provvedimento provinciale di diniego); (2) nel merito, il Comune censurava la sentenza TAR per non aver adeguatamente considerato che la compatibilità urbanistica di un impianto di rifiuti, pur non essendo menzionata espressamente nell’art. 216 D.Lgs. 152/2006 (procedura semplificata), è comunque un presupposto imprescindibile per l’esercizio legittimo dell’attività di recupero. Su questo punto il Comune appellante richiamava un precedente del Consiglio di Stato (Sez. III, sent. n. 4689/2013) che aveva affermato chiaramente tale principio. In altri termini, secondo il Comune, il TAR avrebbe dovuto riconoscere la validità del diniego poiché la localizzazione proposta era urbanisticamente incompatibile, a prescindere dall’assenza di un esplicito obbligo normativo nella procedura semplificata, essendo ciò desumibile in via interpretativa sistematica.
Punti chiave della Sentenza del Consiglio di Stato in materia di recupero rifiuti
La sentenza del Consiglio di Stato ribadisce alcuni principi importanti in materia di gestione dei rifiuti e attività di recupero.
- Compatibilità Urbanistica: l’attività di recupero rifiuti deve essere esercitata in aree urbanisticamente compatibili. Anche se l’art. 216 del D.Lgs. 152/2006 non lo prevede espressamente, la compatibilità urbanistica è un presupposto per il legittimo esercizio dell’attività. Un impianto in contrasto con la destinazione urbanistica dell’area è considerato pericoloso per l’ambiente circostante.
- Atti di Indirizzo: gli atti di indirizzo politico (come la delibera della Giunta comunale di Sarno) non sono vincolanti per l’amministrazione provinciale competente in materia di autorizzazioni per gli impianti di trattamento rifiuti.
- Aree Sature: la classificazione di un’area come “satura” (non idonea all’insediamento di impianti di trattamento rifiuti) può prevedere delle eccezioni per determinate tipologie di impianti, come quelli che trattano esclusivamente rifiuti non odorigeni.
- Onere della Prova: spetta al Comune dimostrare concretamente l’incompatibilità urbanistica di un impianto, fornendo specifiche ragioni e riferimenti alle prescrizioni urbanistiche violate. Non è sufficiente richiamare divieti generici o atti di indirizzo non vincolanti.
Conclusioni
La sentenza Consiglio di Stato n. 2350/2025 rappresenta un importante tassello nella giurisprudenza ambientale-amministrativa italiana, confermando l’orientamento che armonizza la semplificazione delle attività di recupero rifiuti con il rispetto della pianificazione urbanistica. La vicenda di Sarno dimostra che la tutela dell’ambiente va intesa in senso ampio, ricomprendendo non solo il controllo tecnico sulle attività di recupero (tipo di rifiuti, quantità, modalità di trattamento), ma anche la corretta localizzazione territoriale degli impianti. Il Consiglio di Stato invia un messaggio chiaro: non può darsi sviluppo sostenibile senza una coerenza tra uso del territorio e gestione dei rifiuti. Al contempo, la decisione tutela la buona fede e i diritti degli operatori economici, impedendo che ostacoli non supportati da effettive norme vengano frapposti all’iniziativa imprenditoriale.
In definitiva, il pronunciamento in commento rafforza i principi di lealtà amministrativa e certezza del diritto: le amministrazioni devono esercitare i propri poteri entro i confini tracciati dall’ordinamento (nel caso di specie, rispettando i limiti delle rispettive competenze e le procedure previste per vincolare urbanisticamente le attività sul territorio), mentre i privati sono tenuti ad operare nel rispetto delle regole sostanziali (incluse quelle urbanistiche) anche quando beneficiano di iter semplificati. I riferimenti normativi (D.Lgs. 152/2006, art. 216 e art. 208; D.M. 5/2/1998; L. 241/1990) e i richiami giurisprudenziali (Cons. Stato 4689/2013; TAR Campania 3733/2009) contenuti nella sentenza offrono un quadro argomentativo solido che potrà guidare sia le autorità competenti sia gli operatori in future analoghe fattispecie. In prospettiva, rimane auspicabile un costante aggiornamento sia della normativa primaria sia della pianificazione locale, per anticipare e risolvere in sede amministrativa eventuali conflitti, rendendo realmente efficace e spedito il regime semplificato senza sacrificare le esigenze di tutela ambientale e territoriale.