Spedizione illegale rifiuti: la Corte di Giustizia “alza l’asticella”
La sentenza in oggetto sulla spedizione illegale di rifiuti
La sentenza della Corte di giustizia UE del 23 ottobre 2025 interviene su un tema centrale per chi opera nel mondo dei rifiuti: cosa succede quando una spedizione transfrontaliera di rifiuti è illegale e il mittente non è in grado – o non vuole – riprendersi il carico e gestirlo correttamente?
Il cuore della vicenda è l’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni illegale di rifiuti, letta alla luce del diritto di proprietà tutelato dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte chiarisce due punti chiave: da un lato, come si coordinano le diverse opzioni di “ripresa” dei rifiuti; dall’altro, se e fino a che punto l’autorità competente possa recuperare o smaltire i rifiuti contro la volontà del proprietario, senza violare il suo diritto di proprietà.
Il caso svedese: container diretti in Africa e contestazione sul concetto di rifiuto
Alla base della pronuncia ci sono due procedimenti avviati in Svezia, che riguardano container partiti da quel Paese e diretti in Camerun e Congo, transitando rispettivamente per Belgio e Germania.
Durante i controlli, le autorità di transito hanno ritenuto che il contenuto dei container – veicoli usati, pneumatici, apparecchiature elettriche, mobili, indumenti, giocattoli – non fosse costituito da semplici beni riutilizzabili, ma da “rifiuti” ai sensi della direttiva 2008/98/CE, quindi soggetti alla disciplina delle spedizioni di rifiuti.
Le spedizioni sono state qualificate come spedizioni illegali ai sensi del regolamento 1013/2006, anche perché dirette verso Paesi terzi con divieti o restrizioni all’import di determinati rifiuti. L’Agenzia svedese per la tutela dell’ambiente (Naturvårdsverket) ha chiesto ai mittenti di organizzare il ritorno dei container in Svezia e di gestire i rifiuti in modo ecologicamente corretto.
I mittenti, però: da un lato contestavano che si trattasse di rifiuti, sostenendo che fossero beni destinati al riutilizzo o ad attività umanitarie; dall’altro non erano effettivamente in grado di garantire, in modo credibile, una gestione conforme una volta rientrato il carico.
L’agenzia ha quindi deciso di farsi carico del rientro e dell’invio dei container a impianti autorizzati in Svezia, per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, ponendo poi i costi a carico dei notificatori. I mittenti hanno reagito sostenendo che così si compressa il loro diritto di proprietà: i loro beni venivano trattati come rifiuti e avviati a trattamento senza il loro consenso.
Spedizione illegale dei rifiuti: l’articolo 24, l’obbligo di ripresa e gestione, non semplice facoltà
Il primo snodo interpretativo riguarda il funzionamento dell’articolo 24, paragrafo 2, che prevede una scala di soggetti responsabili della ripresa dei rifiuti in caso di spedizione illegale. Si parte dal notificatore de facto, si passa poi al notificatore de iure, e solo in ultima istanza interviene l’autorità competente di spedizione.
La Corte chiarisce che le lettere c) e d) del medesimo paragrafo operano in via alternativa. La lettera c) disciplina il caso in cui i rifiuti vengono ripresi dall’autorità competente di spedizione; la lettera d) riguarda ipotesi diverse, in cui i rifiuti vengono recuperati o smaltiti in altro modo nel Paese in cui si trovano, senza una vera e propria ripresa.
Il passaggio cruciale della sentenza è che, secondo la Corte, una volta che l’autorità di spedizione interviene ai sensi della lettera c) e riprende i rifiuti, essa non può limitarsi a riportarli a casa. È tenuta a garantire il loro recupero o smaltimento in modo ecologicamente corretto. La ripresa, quindi, include l’obbligo di organizzare il trattamento.
Si tratta di un’interpretazione coerente con la convenzione di Basilea, che impone agli Stati di esportazione di provvedere alla ripresa e allo smaltimento ecologicamente corretto dei rifiuti spediti illegalmente, e con l’obiettivo generale del regolamento 1013/2006 di protezione dell’ambiente e della salute umana.
In altri termini, l’autorità non può “lavarsi le mani” riportando il carico sul territorio nazionale e riconsegnandolo semplicemente al mittente, specie quando quest’ultimo ha dimostrato di non essere in grado o non essere disponibile a trattarlo correttamente. Deve chiudere il cerchio della gestione.
Il nodo del diritto di proprietà: limitazione sì, esproprio no
Il secondo pilastro della sentenza riguarda la compatibilità di questa lettura con il diritto di proprietà sancito dall’articolo 17 della Carta. I mittenti sostenevano, in sostanza, che la decisione dell’agenzia svedese di avviare i rifiuti al recupero o allo smaltimento contro la loro volontà equivalesse a una privazione della proprietà.
La Corte segue un’altra strada. Osserva che l’intervento dell’autorità di spedizione è subordinato al mancato adempimento da parte del notificatore: prima si dà spazio al soggetto privato di riprendere e trattare i rifiuti; solo se ciò non avviene o non è possibile subentra l’autorità.
In questo quadro, la misura viene qualificata non come espropriazione, ma come regolazione dell’uso dei beni nell’interesse generale. La destinazione obbligata dei rifiuti al recupero o allo smaltimento è una limitazione del diritto di proprietà, ma non un azzeramento del diritto.
La Corte ricorda che il diritto di proprietà non è assoluto e può subire limitazioni previste dalla legge, rispettose del contenuto essenziale del diritto e proporzionate a finalità di interesse generale, come la tutela dell’ambiente e della salute.
Proprio su questo punto, i giudici sottolineano che: la spedizione illegale dimostra già una violazione delle regole di gestione; il mancato intervento dell’autorità esporrebbe a un elevato rischio di nuove spedizioni illegali o di abbandono dei rifiuti; la protezione dell’ambiente e della salute umana ha, nel diritto dell’Unione, un valore preponderante rispetto alle sole considerazioni economiche del singolo operatore.
La limitazione è considerata proporzionata, anche perché: la misura si applica solo in ultima istanza, dopo il mancato intervento del notificatore; il proprietario mantiene comunque la possibilità di ricorso giurisdizionale contro le decisioni dell’autorità, contestando la qualificazione di rifiuto o le modalità di gestione; le spese sono poste a carico del notificatore secondo l’articolo 25 del regolamento, in coerenza con il principio “chi inquina paga” e con la responsabilità estesa del detentore.
La spedizione illegale dei rifiuti e le implicazioni pratiche per operatori e autorità
Per gli operatori che si occupano di spedizioni transfrontaliere di rifiuti, la sentenza manda un messaggio chiarissimo. Una volta che una spedizione viene qualificata come illegale, la macchina del regolamento 1013/2006 si attiva in modo vincolante: i rifiuti devono essere ripresi e poi gestiti in modo ecologicamente corretto; se il notificatore non è in grado di dimostrare una gestione adeguata, l’autorità di spedizione subentra e organizza direttamente il trattamento, rivalendosi sui soggetti responsabili per i costi di trasporto, stoccaggio, recupero o smaltimento.
Questo accentua la necessità, per gli operatori, di una due diligence molto rigorosa su:
classificazione corretta del carico come rifiuto o non rifiuto; rispetto delle procedure di notifica e autorizzazione previste dal regolamento; capacità effettiva di garantire una gestione ecologicamente corretta nel Paese di destinazione.
Per le autorità competenti, la Corte conferma che non si tratta di una semplice facoltà, ma di un vero obbligo di intervenire a tutela dell’ambiente. L’autorità che scopre una spedizione illegale non può limitarsi a fermarla; deve assicurarsi che i rifiuti vengano trattati in modo conforme, anche quando ciò significa agire contro la volontà del mittente.
Interessante, infine, il collegamento con il nuovo regolamento (UE) 2024/1157 sulle spedizioni di rifiuti, che dal 2026 sostituirà il regolamento 1013/2006. Questo nuovo testo chiarisce espressamente che la ripresa dei rifiuti avviene proprio per consentirne il recupero o lo smaltimento da parte dei soggetti indicati. La sentenza del 23 ottobre 2025 si inserisce quindi come un tassello di continuità: anticipa e rafforza la logica del nuovo quadro normativo, ribadendo che, di fronte a una spedizione illegale, l’interesse della collettività a un’adeguata gestione dei rifiuti prevale sulle pretese individuali del proprietario.
