
Sostenibilità Grande Distribuzione: dalla CSR alla sostenibilità integrata
Negli ultimi anni, la sostenibilità è diventata una delle parole chiave della trasformazione che sta investendo il settore della grande distribuzione organizzata (GDO) in Italia.
Un tempo ritenuto un comparto poco incline al cambiamento, concentrato su logiche di profitto e sull’ottimizzazione delle filiere commerciali, oggi la GDO appare sempre più coinvolta in un processo di ripensamento che punta all’equilibrio tra convenienza economica, impatto ambientale e responsabilità sociale.
Questo processo non è esente da contraddizioni e difficoltà, ma rappresenta una traiettoria ormai irreversibile, spinta sia dalla crescente consapevolezza dei consumatori sia dalle nuove normative europee in tema di sostenibilità e rendicontazione non finanziaria.
Sostenibilità Grande Distribuzione: imballaggi, filiere etiche e marchi privati
Le principali insegne italiane – da Coop a Conad, da Esselunga a Carrefour Italia, fino a realtà in forte espansione come Aldi e Lidl – hanno avviato strategie strutturate per rendere più sostenibili i propri modelli di business. Queste strategie spaziano dalla riduzione della plastica all’interno dei punti vendita, alla valorizzazione di filiere corte e biologiche, fino all’efficientamento energetico e all’adozione di logiche di economia circolare. In particolare, la gestione degli imballaggi rappresenta uno dei nodi più critici: molte catene si sono impegnate a ridurre o eliminare le plastiche monouso, optando per materiali compostabili o riciclati, e incentivando i clienti al riutilizzo attraverso sistemi di vuoto a rendere, dispenser alla spina e scontistiche su contenitori propri.
Parallelamente, cresce l’attenzione alla provenienza dei prodotti, non solo in termini di tracciabilità, ma anche di impatto ambientale e condizioni di lavoro. Il concetto di “filiera etica” si fa strada nelle comunicazioni istituzionali dei gruppi della GDO, che sempre più spesso collaborano con enti certificatori e ONG per verificare il rispetto di standard ambientali e sociali lungo tutta la catena di fornitura. In Italia, Coop è stata pioniera in questo senso, adottando sin dagli anni Duemila criteri restrittivi per i fornitori a marchio proprio e promuovendo campagne trasparenti su OGM, pesticidi e benessere animale. Ma anche realtà come Carrefour e Conad hanno accelerato negli ultimi anni, proponendo linee “green” che escludono ingredienti controversi, promuovono l’agricoltura biologica e pongono l’accento sulla responsabilità sociale d’impresa.
Sostenibilità Grande Distribuzione: energia, logistica e digitalizzazione
Sul piano energetico, molte insegne stanno puntando sull’autoproduzione da fonti rinnovabili, la coibentazione degli edifici e il rinnovo degli impianti di refrigerazione per ridurre i consumi e le emissioni climalteranti. Esselunga, ad esempio, ha investito in un ambizioso piano di efficienza energetica che prevede l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dei punti vendita e l’uso di tecnologie smart per la gestione degli impianti. Altre catene, come Lidl, stanno convertendo progressivamente la rete di vendita verso modelli a impatto quasi zero, con certificazioni ambientali sugli edifici e la razionalizzazione dei trasporti logistica-centrali. Il tema della logistica sostenibile, infatti, è sempre più presente: dal rinnovamento del parco mezzi con veicoli elettrici o a biometano alla gestione algoritmica delle rotte per ridurre i chilometri percorsi a vuoto, le tecnologie digitali diventano alleate della riduzione dell’impronta carbonica.
Educare il consumatore attraverso l’assortimento
Sul versante dei consumi, la sfida della sostenibilità nella grande distribuzione si gioca anche sul piano educativo. La GDO ha oggi un ruolo decisivo nell’orientare le scelte di milioni di consumatori attraverso la selezione dei prodotti in assortimento, il posizionamento nei punti vendita, la comunicazione in etichetta e le politiche promozionali. Sempre più spesso, gli scaffali raccontano un mondo che cambia: cresce lo spazio dedicato ai prodotti plant-based, aumenta la varietà dei prodotti locali e a chilometro zero, si moltiplicano le referenze vegane, senza glutine, cruelty-free o con packaging sostenibili. Alcune insegne hanno introdotto veri e propri rating ambientali sui prodotti, o etichette a semaforo per indicare l’impatto climatico delle scelte di acquisto. Si tratta di strumenti ancora sperimentali, ma potenzialmente rivoluzionari nel modo in cui mettono in relazione sostenibilità e marketing.
Le contraddizioni del sistema: greenwashing e sprechi
Non mancano però le zone d’ombra. Il rischio del greenwashing è concreto e alcune campagne promozionali sono state oggetto di critiche da parte delle associazioni dei consumatori, che denunciano la presenza di messaggi poco chiari, dati non verificabili o logiche “etiche” applicate solo a una parte minima dell’assortimento. Anche sul tema dello spreco alimentare, sebbene ci siano iniziative virtuose – come le donazioni ai banchi alimentari, le app contro lo spreco o i corner per i prodotti in scadenza – il sistema presenta ancora margini di miglioramento, soprattutto nella fase a monte della filiera. Spesso è la stessa rigidità della filiera distributiva a determinare scarti e invenduti, con regole stringenti su calibro, estetica e freschezza che penalizzano prodotti perfettamente commestibili.
L’impatto della normativa europea
In questo contesto, la spinta normativa europea rappresenta un potente acceleratore. La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), entrata in vigore nel 2023, obbligherà progressivamente le grandi imprese – comprese le principali catene della GDO – a pubblicare report dettagliati sulle proprie performance ambientali, sociali e di governance (ESG), utilizzando indicatori standardizzati e sottoposti a verifica. Questo implica un salto di qualità nella trasparenza e nella rendicontazione, che potrà fare da leva per politiche più incisive e confrontabili tra aziende. La sfida sarà quella di integrare questi obblighi in una visione strategica coerente, evitando che la sostenibilità resti confinata a una dimensione comunicativa o ad azioni isolate.
Verso un modello rigenerativo
Il quadro che emerge, dunque, è quello di una grande distribuzione in movimento, ancora segnata da approcci differenziati tra i vari operatori ma nel complesso orientata verso una trasformazione profonda. Se un tempo i criteri ambientali e sociali erano appannaggio di nicchie “etiche” o di marchi alternativi, oggi sono diventati parte integrante del posizionamento competitivo delle grandi catene. La sostenibilità non è più un’opzione, ma un requisito per attrarre consumatori sempre più consapevoli, dialogare con i territori e rispondere alle sfide globali come il cambiamento climatico, la scarsità delle risorse e le disuguaglianze nella filiera agroalimentare.
Guardando al futuro, la vera sfida sarà quella di superare il paradigma della compensazione – in cui si cerca di “bilanciare” l’impatto negativo con azioni positive – per abbracciare modelli rigenerativi, in cui la GDO non solo minimizzi i danni, ma contribuisca attivamente a ricostruire capitale naturale e benessere collettivo. Questo richiederà investimenti, innovazione, ma soprattutto un cambiamento culturale. Un cambiamento che, a ben vedere, è già iniziato.