La sostenibilità premiata: come la retribuzione dei manager cambia con gli obiettivi ESG - Leonardo Academy

La sostenibilità premiata: come la retribuzione dei manager cambia con gli obiettivi ESG

Negli ultimi anni, l’intersezione tra performance aziendale e sostenibilità ha conosciuto un’evoluzione significativa. A fare notizia oggi non è più solo l’utile netto o l’espansione in nuovi mercati, ma anche quanto un’azienda riduce il proprio impatto ambientale, migliora le condizioni dei lavoratori o contribuisce al benessere delle comunità locali. In questo contesto, sta crescendo un meccanismo strategico tanto promettente quanto discusso: la correlazione tra retribuzione dei vertici aziendali e il raggiungimento degli obiettivi ESG (ambientali, sociali e di governance).

Un cambio di paradigma nelle politiche retributive

Tradizionalmente, i bonus e le stock option destinati agli amministratori delegati e ai dirigenti di alto livello si fondavano su indicatori finanziari come la crescita del fatturato, l’andamento azionario o la redditività. Tuttavia, con la crescente pressione da parte di investitori, cittadini, autorità di regolazione e movimenti sociali, le aziende stanno integrando parametri legati alla sostenibilità nei pacchetti retributivi dei propri vertici.

Questa transizione è motivata da una duplice esigenza: da un lato, migliorare la reputazione e la competitività dell’impresa; dall’altro, rendere le strategie ESG più credibili e operative. Quando gli obiettivi ambientali e sociali si traducono in conseguenze economiche dirette per il top management, aumentano infatti le probabilità che essi vengano realmente perseguiti.

Sostenibilità: l’integrazione degli obiettivi ESG nei bonus aziendali

Nel concreto, come si traduce questa nuova tendenza? Le aziende inseriscono all’interno dei sistemi di incentivazione dei dirigenti indicatori legati alla sostenibilità, che possono spaziare dalla riduzione delle emissioni di CO₂, all’aumento dell’utilizzo di materiali riciclati, al raggiungimento della parità di genere nei ruoli apicali, fino alla soddisfazione degli stakeholder locali. Gli obiettivi sono generalmente misurati su base annuale o triennale e collegati sia al bonus di breve termine (STI – Short Term Incentives) che a quello di lungo termine (LTI – Long Term Incentives).

Questo tipo di approccio è particolarmente diffuso nei settori ad alta intensità ambientale o sociale, come l’energia, l’industria manifatturiera, l’agroalimentare e la moda, ma sta prendendo piede anche nei servizi finanziari e nella tecnologia. Le aziende che implementano questi modelli lo fanno per rafforzare il proprio impegno dichiarato alla sostenibilità e rispondere alle aspettative sempre più pressanti dei cosiddetti “investitori responsabili”.

Un approccio crescente in Europa (e in Italia)

La Commissione Europea, attraverso le nuove normative come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), ha chiaramente espresso la volontà di promuovere una rendicontazione non finanziaria più solida e verificabile. In questo scenario, l’allineamento tra la remunerazione degli executive e gli obiettivi ESG è visto come un importante strumento di coerenza e accountability. Alcuni paesi europei, come Francia e Germania, hanno già incluso raccomandazioni normative per promuovere tali integrazioni nei pacchetti retributivi.

Anche in Italia si sta assistendo a una graduale diffusione di questa prassi. Secondo gli ultimi rapporti pubblicati da Consob e SDA Bocconi, circa un terzo delle società quotate italiane ha già introdotto indicatori ESG nei sistemi di incentivazione dei dirigenti. Tuttavia, le modalità e il peso reale di questi obiettivi all’interno della remunerazione variano notevolmente. In molti casi, gli obiettivi ambientali e sociali rappresentano ancora una quota marginale dei bonus complessivi, suscitando dubbi sulla reale efficacia dello strumento.

Opportunità e rischi: tra incentivi virtuosi e greenwashing

Il legame tra remunerazione e sostenibilità offre indubbi vantaggi. Prima di tutto, crea una connessione diretta tra strategia aziendale e impatti sociali e ambientali, aiutando a rendere la sostenibilità una priorità trasversale. In secondo luogo, rafforza la fiducia degli stakeholder, in particolare di quelli finanziari, dimostrando che l’azienda è disposta a “metterci la faccia” (e il portafoglio) nel perseguire i propri impegni etici.

Tuttavia, questo approccio non è privo di criticità. Una delle principali riguarda la trasparenza: non sempre è chiaro come vengano definiti e misurati gli obiettivi ESG, né come si valuti il loro raggiungimento. Il rischio, in questo caso, è che si crei un effetto “greenwashing remunerativo”, dove obiettivi vaghi o facilmente raggiungibili servano solo a migliorare l’immagine dell’azienda senza generare impatti concreti.

Inoltre, la natura complessa e spesso qualitativa di molti obiettivi ESG rende difficile un loro confronto oggettivo. A differenza dei risultati economici, infatti, i progressi ambientali o sociali richiedono tempi più lunghi, possono dipendere da fattori esterni e non sempre sono quantificabili con precisione.

Sostenibilità: la centralità della governance e della trasparenza

Per rendere realmente efficace il collegamento tra bonus e sostenibilità, è essenziale che le imprese adottino criteri di valutazione chiari, verificabili e coerenti con le proprie politiche ESG. La governance gioca un ruolo fondamentale in questo processo. I comitati remunerazione dei consigli di amministrazione devono garantire un controllo rigoroso su come gli obiettivi vengono fissati, monitorati e aggiornati nel tempo.

Allo stesso tempo, la trasparenza verso l’esterno è cruciale. Le aziende devono rendere pubblici i criteri utilizzati e i risultati raggiunti, non solo per rispettare le normative europee, ma anche per costruire una relazione di fiducia con investitori, consumatori e dipendenti. La pubblicazione di bilanci integrati e di report ESG con sezioni dedicate alla remunerazione sostenibile può rappresentare una buona pratica in questa direzione.

Verso una retribuzione “a impatto”

Il dibattito attuale sulla sostenibilità e il ruolo delle imprese in un mondo in trasformazione stanno progressivamente riscrivendo le regole del gioco anche per i compensi aziendali. La retribuzione dei manager non è più solo una questione interna di equilibri economici, ma un indicatore rilevante del posizionamento etico e strategico dell’impresa. Sempre più analisti, fondi etici e organismi di rating ESG valutano le aziende anche in base alla coerenza tra i loro valori dichiarati e la struttura dei compensi. In futuro, sarà sempre più difficile per un’impresa dichiarare il proprio impegno per la sostenibilità senza “retribuirla” nei fatti. In questo senso, la retribuzione diventa uno strumento di impatto: non solo sull’economia interna all’azienda, ma sull’intero ecosistema in cui essa opera.

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